di Gianfranco Bologna – greenreport.it.
Anche se molti continuano ancora a far finta di niente e pensano che l’attuale crisi economica finanziaria sia dovuta solo a qualche eccesso di finanziarizzazione del sistema economico che, prima o poi, rientrerà, comincia invece a farsi sempre più diffusa e solida la consapevolezza che la crisi ci sta inviando anche segnali molto chiari sull’insostenibilità dei nostri attuali modelli di sviluppo, basati sul perseguimento di una continua crescita materiale e quantitativa.
La crisi economica è anche un sintomo della più ampia crisi sociale, ambientale e di valori delle nostre società industrializzate e degli effetti perversi che i fenomeni di globalizzazione, completamente fuori controllo, hanno prodotto in tutto il mondo. Come ha brillantemente ricordato il noto giornalista americano, tre volte premio Pulitzer, Thomas L. Friedman, nel suo bel volume “Hot, Flat and Crowded” (edito nel 2008 da Allen Lane), ormai il mercato e madre Natura hanno sbattuto contro il “muro”. E’ urgente e necessaria una profonda virata per avviare i nuovi percorsi delle nostre società su sentieri più sostenibili.
Anche nel mondo economico e politico si sta sempre più ampliando la necessità di nuove visioni, nuove impostazioni e nuove politiche, capaci di mettere in conto quanto sino ad oggi, nell’economia tradizionale, non ha visto riconosciuto il suo straordinario valore, come, ad esempio, il fondamentale capitale naturale, senza il quale non possiamo neanche vivere.
All’effervescente mosaico che si sta componendo in questi ultimissimi anni, relativo alle profonde riflessioni ed alle proposte operative scaturite da studi, rapporti, programmi ecc. che si stanno susseguendo a ritmi serrati ed affascinanti (dalle pratiche operative necessarie a realizzare un Piano B per l’intera umanità, all’avvio di programmi internazionali e nazionali per la Green Economy, alla rimessa in discussione di tutti gli indicatori classici di ricchezza e benessere, ecc.), un notevolissimo contributo viene fornito dall’avvincente programma definito TEEB, The Economics of Ecosystems and Biodiversity, del quale ho già avuto modo di parlare in altre occasione negli articoli di questa rubrica.
Proprio la scorsa settimana il TEEB che aveva prodotto nel 2008 un primo rapporto intermedio e che renderà noto il rapporto finale nell’autunno 2010 (vedasi www.teebweb.org) , ha diffuso il suo rapporto dedicato ai policy makers (“TEEB for Policy Makers”).
Il TEEB, diretto dall’economista Pavan Sukhdev e lanciato dalla Germania e dalla Commissione Europea nel 2007 è oggi appoggiato dal Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP www.unep.org ) e da Regno Unito, Norvegia, Olanda e Svezia.
Il TEEB mira a comporre tutte le esperienze, le conoscenze, i know-how esistenti in tutte le regioni del pianeta per rendere sempre più la nostra economia, sia nella teoria che nella pratica, basata sui fondamenti biofisici dei sistemi naturali che la supportano. Il TEEB dimostra il fallimento dei mercati nel considerare adeguatamente il valore degli ecosistemi e dell’intera biodiversità del pianeta. Il TEEB dimostra proprio come le attività mirate alla conservazione, ripristino e razionale gestione delle risorse e dei sistemi naturali costituisce un autentico investimento economico.
La mancanza di un prezzo di mercato per i servizi offerti dagli ecosistemi e per la biodiversità dimostra che i fondamentali benefici derivanti da questi beni (in molti casi beni pubblici e collettivi) sono quasi sempre negletti o sottovalutati nelle decisioni politiche. Gli effetti di queste sottovalutazioni si riverberano non solo nel peggioramento continuo e progressivo dello stato di salute degli ecosistemi del mondo intero che oggi sono sottoposti ad una pressione umana senza precedenti, ma anche sullo stato di salute dell’umanità e del benessere umano nel suo complesso.
Il valore degli ecosistemi e della biodiversità è oggi paradossalmente invisibile all’economia che guida le scelte politiche nel mondo intero. Le conoscenze scientifiche acquisite ci dimostrano che il capitale naturale, gli ecosistemi, la biodiversità e le risorse naturali, sono la base del benessere delle economie, delle società e degli individui. Il valore della miriade di benefici che derivano dalla ricchezza della natura presente sul nostro pianeta è ignorata e non presa in considerazione dal mondo politico-economico che, quotidianamente, decide ciò che condiziona la nostra esistenza. Stiamo drammaticamente distruggendo le basi del nostro stock di capitale naturale e lo facciamo prima ancora di riconoscere il valore che stiamo perdendo. Il persistente degrado dei suoli, dell’acqua, delle risorse biologiche impatta negativamente sulla nostra salute, sulla nostra sicurezza alimentare, sulle scelte dei consumatori , sulle opportunità delle attività imprenditoriali.
Il rapporto TEEB dedicato ai policy makers richiede azioni immediate per quattro punti che vengono definiti priorità strategiche urgenti:
1) Il blocco della deforestazione e del degrado degli ambienti forestali e boschivi del pianeta, che costituiscono una parte integrante della mitigazione per gli effetti del cambiamento climatico e producono un’amplissima serie di servizi e di beni per le popolazioni locali e per la più ampia comunità planetaria,
2) La protezione degli ambienti di barriere coralline, ai quali sono associate le vite di almeno mezzo miliardo di persone , attraverso sforzi significativi per ridurre l’incremento delle temperature medie della superficie della Terra e l’acidificazione degli oceani,
3) La salvaguardia e il ripristino delle aree globali di pesca, base fondamentale per tanta popolazione umana, ormai sull’orlo del collasso, con perdite ingenti valutabili in 50 miliardi di dollari l’anno,
4) Il riconoscimento del forte legame esistente tra il degrado degli ecosistemi ed il persistere della povertà degli abitanti delle aree rurali, avviando iniziative concrete per legare i diversi obiettivi del Millennio (Millennium Goals) sui quali si sono impegnati i governi di tutto il mondo, in sede ONU.
Il rapporto TEEB sottolinea inoltre l’importanza di essere capaci di misurare quello che si vuole gestire. Per questo è fondamentale che i decisori politici siano provvisti della migliore informazione possibile sulla base della quale prendere le conseguenti decisioni. In questo ambito diventa centrale estendere i sistemi di contabilità nazionale alla considerazione del valore della natura, come già proposto, in forme diverse, dal System of Economic Environmental Accounting (SEEA) delle Nazioni Unite e da tante importanti iniziative, come il lavoro della commissione Stiglitz, Sen, Fitoussi, voluta dal presidente francese Sarkozy, sui nuovi indicatori di benessere e dell’operato della Commissione Europea, del Parlamento Europeo, del Club di Roma e del WWF su “Beyond GDP”, dei quali abbiamo, già diverse volte, parlato negli articoli di questa rubrica. Inoltre il rapporto indica alcune proposte operative per dare subito valore economico agli ecosistemi ed alla biodiversità come il pagamento per i servizi che gli ecosistemi ci offrono (riconoscendo anche il ruolo che le comunità locali hanno come custodi di questi servizi), i meccanismi di mercato quali le certificazioni di prodotto, gli approvvigionamenti “verdi” (green procurement), gli standard e gli eco label, la riforma ambientale dei sussidi, con l’eliminazione degli attuali sussidi “perversi” che continuano a sovvenzionare, con soldi pubblici, per almeno 1.000 miliardi di dollari, attività negative per l’ambiente (come l’utilizzo dei combustibili fossili), l’avvio di standard ambientali che regolino i prezzi riconoscendo il giusto valore della dimensione ambientale dei prodotti e delle loro filiere produttive, il riconoscimento del valore aggiunto derivante dai sistemi di aree protette che garantiscono i servizi degli ecosistemi, l’investimento nelle cosidette “infrastrutture ecologiche” per incrementare la resilienza dei sistemi naturali e sociali, nei confronti dei cambiamenti globali ecc.
Diventa ormai sempre più impellente cambiare strada ed è necessario farlo in fretta.